Il Piano B dell’Europa: gli “alleati” mollano Obama aderendo alla Bank of Infrastrutture della Cina

Tyler Durden Global Research, 17 marzo 2015

Sembra che il mare della de-dollarizzazione abbia raggiunto le coste dell’Europa. Con Australia e Regno Unito che già aderiscono all’AIIB della Cina, FT riporta che Francia, Germania e Italia sono d’accordo nell’aderire alla banca di sviluppo, il ‘perno in Asia’ appare essere il Piano B dell’Europa. Come Greg Sheridan ha già osservato, “la saga della Banca della Cina è quasi un caso da manuale del fallimento della politica estera di Obama“, ma come conclude FT, le decisioni europee rappresentano una significativa sconfitta per l’amministrazione Obama, che ha sostenuto che i Paesi occidentali potrebbero avere più influenza sulla nuova banca se ne rimanessero tutti fuori. Come nota Forbes, ciò lascia ad Obama 3 opzioni scomode…
Come riporta FT, “Francia, Germania e Italia hanno accettato di seguire l’esempio della Gran Bretagna partecipando alla banca di sviluppo internazionale della Cina, secondo i funzionari europei, colpendo gli sforzi degli Stati Uniti per tenere i principali Paesi occidentali fuori dalla nuova istituzione. La decisione dei tre governi europei viene dopo che la Gran Bretagna annunciava che avrebbe raggiunto l’Infrastructure Asian Investment Bank da 50 miliardi, potenziale rivale della Banca Mondiale di Washington. … Le decisioni europee rappresentano una significativa sconfitta dell’amministrazione Obama, che ha sostenuto che i Paesi occidentali potrebbero avere più influenza sulla nuova banca se ne rimanessero tutti fuori, aumentando gli standard sui prestiti. L’AIIB, ufficialmente inaugurato dal presidente cinese Xi Jinping lo scorso anno, è un elemento dell’ampia spinta cinese nel creare nuove istituzioni finanziarie ed economiche per aumentarne l’influenza internazionale. E’ diventato tema centrale nella crescente contesa tra Cina e Stati Uniti su chi definirà le regole economiche e commerciali in Asia nei prossimi decenni”.
Questo segue Australia e Regno Unito… “L’Australia, alleato chiave degli Stati Uniti nell’Asia-Pacifico, sottoposto a pressione da Washington affinché rimanesse fuori dalla nuova banca, ha detto che ora ci ripenserà su tale posizione. Quando la Gran Bretagna ha annunciato la decisione di aderire all’AIIB, l’amministrazione Obama ha detto al Financial Times che rientrava nella tendenza alla “continua sistemazione” di Londra verso la Cina. I funzionari inglesi furono relativamente trattenuti nel criticare la Cina sulla gestione delle proteste pro-democrazia a Hong Kong, l’anno scorso. La Gran Bretagna ha cercato di acquisire il “vantaggio del promotore” firmando con la nascente banca cinese prima degli altri membri del G7. La Gran Bretagna spera di affermarsi come meta numero uno degli investimenti cinesi e i funzionari inglesi non se pentono”.
Il che, come spiega Forbes, “lascia ad Obama tre opzioni…
1) Continuare a premere sugli alleati per non aderire all’AIIB, finché non ne controlleranno la governance;
2) Partecipare all’AIIB;
3) Eliminare il problema.
L’opzione uno è chiaramente una proposta perdente. Non ha senso spendere capitale politico per convincere attori regionali ed altri a non aderire alla banca. È un problema di piccola portata che fa apparire gli Stati Uniti deboli in un momento in cui la loro influenza nella regione è comunque molto forte. Opzione due, io, come praticamente ogni altro analista sulla Cina al di fuori del governo degli USA, ritiene da ottobre che gli Stati Uniti debbano aderire all’AIIB. Ci sono diversi motivi per cui sarebbe una buona idea. Consentirebbe agli Stati Uniti di sedervi dove potrebbe essere una forza positiva per una migliore governance e un critico interno, se le cose andassero male. Inoltre, contribuirebbe a garantirsi che le imprese statunitensi abbiano un accesso equo alle offerte che scaturiranno dal finanziamento degli investimenti dell’AIIB. Aderirvi ora difficilmente ne salverebbe la faccia, ma gli Stati Uniti potrebbero riconoscere pubblicamente la necessità del finanziamento in Asia che l’AIIB può fornire, avviandosi rapidamente a cooperare con Australia, Corea del Sud e Giappone per elaborare i principi di una comune adesione.
Opzione tre, gli Stati Uniti si allontanerebbero dall’AIIB evitando di premere sugli altri Paesi che potrebbero risentire dall’adesione degli Stati Uniti e lasciare che l’AIIB cresca o cada per propri meriti. Risorse e infrastrutture cinesi incontrano notevoli difficoltà in un certo numero di Paesi, tra cui Zambia, Myanmar, Vietnam, Brasile e Sri Lanka. Se l’AIIB non va meglio delle banche di sviluppo della Cina, sarà una macchia non solo per Pechino, ma anche per tutti gli altri Paesi che vi partecipano. Se non sarà come Banca Mondiale e Banca asiatica di sviluppo, allora sarà una gradita aggiunta al finanziamento del Mondo in via di sviluppo. Gli Stati Uniti non devono aderire ad ogni organizzazione regionale in Asia-Pacifico; non sono nella Shanghai Cooperation Organization, per esempio, e sono solo osservatori alla Conferenza su Interazioni e misure di fiducia in Asia. Possono evitare l’AIIB o assumervi lo status di osservatore. La priorità di Washington dovrebbe essere la promozione di ideali e istituzioni propri con il perno o il riequilibrio, anziché bloccare le iniziative cinesi, se non assolutamente necessario. (Non confondiamo lo sforzo della Cina di sviluppare l’AIIB con la spinta ad attuare l’Air Defense Identification Zone, per esempio). L’opposizione all’Infrastructure Investment Asiatic Bank è diventata una macina al collo di Washington. È tempo di togliersela, in un modo o nell’altro”.
La de-dollarizzazione continua… Come ha recentemente concluso Simon Black, ora possiamo vedere le parole divenire fatti… “‘Gli alleati’ potrebbero essere fin troppo educati nel dire in faccia agli Stati Uniti, “Guardate, avete 18100 miliardi dollari di debito ufficiale, 42000 miliardi di dollari di passività non finanziate, e siete dei cazzoni. Vi molliamo. Così, invece si persegue l’approccio del “non sa chi sono io”. Ma a chi interessa è abbastanza evidente dove tale tendenza porta. Non passerà molto tempo prima che le altre nazioni occidentali saltino sul carro anti-dollaro con i fatti e non solo a parole”.
In fondo non si tratta di teoria o ipotesi. Ogni brandello di prova oggettiva suggerisce che il dominio del dollaro volge al termine.

Copyright © 2015 Global Research

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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