Viktor Titov
New Eastern Outlook

Con fiducia gli
huthi continuano a rafforzare le loro posizioni
in Yemen. Il 6 febbraio hanno adottato una dichiarazione
costituzionale, che rafforza politicamente il loro potere stabilito per
mezzo della forza. Secondo Paesi occidentali e del GCC, questi passi
hanno interrotto il dialogo politico con gli altri partiti, in procinto
di completarsi. Chiaramente, ciò era pianificato da tempo, gli insorti
semplicemente attendevano il momento giusto. Le principali
organizzazioni politiche in Yemen, GPC e movimento
Islah, hanno
respinto la dichiarazione, ma hanno espresso la volontà di proseguire i
contatti per raggiungere la riconciliazione nazionale. Tuttavia, gli
huthi sono disposti a condurre il dialogo solo su tale base. In queste
condizioni, l’occidente ha spinto le Nazioni Unite e il suo
rappresentante Jamal Benomar, a fare pressione sugli huthi, accusandoli
d’interrompere il processo di negoziazione con l’adozione della
dichiarazione costituzionale, sciogliendo il parlamento e controllando
le istituzioni statali. Tuttavia, in risposta, il capo dei ribelli
Abdulmaliq Huthi ha emesso un messaggio in cui esorta i governi
stranieri “
a considerare agli interessi dello Yemen, e ad accogliere la dichiarazione come “storica e unico passo giusto“,
allo stesso tempo ha minacciato vari Paesi di “perdere” le relazioni
con lo Yemen. A conferma delle sue parole, si è messo al lavoro. Il 7
febbraio, il Consiglio rivoluzionario
huthi ha adottato un
decreto per formare il Comitato Supremo per la sicurezza, con a capo
l’ex-segretario della Difesa Mahmoud al-Subayhi, e costituito da
militari e ministro degli Interni. Il secondo decreto ha nominato due
ministri (dimissionari) capi temporanei dei loro ministeri. Con ciò
viene sollevata la questione del riconoscimento delle nuove autorità,
tanto più che gli huthi hanno promesso di creare un consiglio
presidenziale e un governo. Il 10 febbraio, una nuova dichiarazione di
Abdulmaliq Huthi attaccava duramente le azioni di “forze esterne e
interne” per il malcontento per la proclamazione della dichiarazione
costituzionale. Secondo lui, tali “forze” cercano di distruggere
l’economia dello Yemen. Ha anche criticato un certo numero di ambasciate
straniere, che diffondono appelli a lasciare Sana, anche se la
situazione nella capitale, in termini di sicurezza, è migliorata in modo
significativo. Ovviamente intendeva statunitensi, inglesi e sauditi. Dopo di che, senza preavviso formale, l’11 febbraio le
ambasciate di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi,
Spagna, Italia, Arabia Saudita, Quwayt ed Emirati Arabi Uniti hanno
chiuso a Sana. Così occidente e Paesi del CCG apertamente isolano
politicamente ed economicamente lo Yemen, con l’obiettivo di minare il
governo degli
huthi a Sana. Tuttavia, tale politica ha
immediatamente causato l’effetto opposto, portando ad un indurimento
delle posizioni degli huthi e alla sostanziale degradazione della
situazione.
Successivamente, Turchia e Giappone hanno deciso di chiudere le loro
missioni diplomatiche. Occidente e CCG all’unanimità insistono sul fatto
che la loro fede nel successo dei negoziati, sotto gli auspici del
consigliere speciale del Segretario Generale per le Nazioni Unite, Jamal
Benomar, tra le forze politiche yemenite per raggiungere la
riconciliazione nazionale, è completamente persa. Anche se i negoziati
sono ripresi, sono al di fuori del quadro della dichiarazione
costituzionale, inoltre, essendo diventati gli unici governanti a Sana,
gli
huthi controllano la sicurezza nella capitale yemenita. Di
conseguenza, i Paesi occidentali e del GCC hanno deciso di recidere i
legami con gli
huthi, attuando una linea per minare la
stabilità dello Yemen, creandogli problemi e isolandolo. E’ ovvio che
dietro tutto questo vi sia Washington, che praticamente ha ordinato agli
alleati occidentali e arabi di seguirla. E in silenzio seguono, come in
Ucraina. E’ possibile che gli statunitensi abbiano deciso la chiusura
dell’ambasciata su pressione della maggioranza repubblicana al
Congresso, dove c’è la totale paura del ripetersi dell’incidente in
Libia, con l’assassinio dell’ambasciatore degli Stati Uniti, con tutte
le conseguenze per l’immagine di Washington, che non potrebbe
rispondervi adeguatamente. Dopo aver distrutto la Libia, gli Stati Uniti
persero la possibilità di influenzare la situazione. La stessa cosa in
Yemen: dopo aver organizzato la rivoluzione colorata, Washington vi ha
semplicemente perso influenza. Molti definiscono l’attuale situazione in
Yemen vuoto di potere, anche se non è così. Gli
huthi
controllano le province centrali e settentrionali del Paese. Solo il
meridione non obbedisce alle istruzioni, ma allo stesso tempo non
s’immischia nel conflitto. Non è impossibile che gli huthi, attraverso
contatti con le province meridionali e la sotterranea presa del potere,
possano sottomettere l’intero Paese. Tanto più che alle spalle hanno un
Paese potente: l’Iran. E i Paesi del CCG, primo fra tutti l’Arabia
Saudita, vicino più prossimo dello Yemen, non possono influenzare la
situazione. Se cercassero d’intervenire, è probabile che le truppe huthi
e loro sostenitori, tra cui gli sciiti nelle province limitrofe
saudite, semplicemente passerebbero il confine. E Riyadh non ne ha
bisogno, visto che il re è appena morto e il nuovo re praticamente
inscena un colpo di Stato eliminando figure chiave della cerchia
dell’ex-monarca. Le apparenze indicano che ci vorranno 2-3 mesi per
capire la situazione nello Yemen e se gli
huthi avranno la
vittoria totale. In questo momento, almeno, sono al potere e con fiducia
vanno avanti. Non è escluso che presto creeranno un consiglio
presidenziale e un nuovo governo. Gli Stati Uniti subirebbero un’altra
sconfitta nella regione.
Viktor Titov, Ph.D, è un commentatore politico sul Medio Oriente, in esclusiva per la rivista online “
New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio –
SitoAurora
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