L’economia degli Stati Uniti non supera l’impasse

Ariel Noyola Rodriguez, Global Research, 16 giugno 2016
  
Il mercato del lavoro degli Stati Uniti torna ad inciampare. Lo scorso maggio, le assunzioni non agricole aggiunsero 38000 nuovi posti di lavoro, mentre gli investitori di Wall Street ne prevedevano 160000. Janet Yellen, presidentessa della Federal Reserve non ha avuto alternativa che lasciare intatto il tasso d’interesse di riferimento dopo la riunione di giugno del Federal Open Market Committee. Il rischio di una nuova recessione negli Stati Uniti è più minaccioso che mai, anche se i media occidentali insistono nel promuovere l’idea che i principali pericoli siano il rallentamento economico della Cina e l’eventuale abbandono del Regno Unito dell’Unione europea.


Dopo l’ultima riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) a metà giugno, la presidentessa della Federal Reserve (FED), Janet Yellen, annunciava che il tasso d’interesse di riferimento rimaneva intatto, cioè tra 0,25 e 0,50 per cento. Quindi tutto dimostra che la FED non alzerà il costo del credito interbancario prima di settembre. In breve, la propaganda del governo di Barack Obama per convincere del “pieno recupero” dell’economia degli Stati Uniti viene di nuovo screditata. Più di sei mesi fa la FED alzò il tasso d’interesse dei fondi federali e finora non ci sono segni che indicano un ulteriore progresso. Ripetutamente la FED ha ribassato le previsioni sulla crescita economica: mentre a marzo stimò un tasso di crescita del 2,1-2,3 per cento, ultimamente l’ha ridotto all’1,9-2 per cento. L’economia è in caduta libera, proprio nel dicembre 2015 la previsione di crescita della FED per il 2016 era tra 2,3 e 2,5 per cento. Senza dubbio, la crescente debolezza della più potente economia del Gruppo dei 7 (G-7) ha costretto le autorità monetarie ad agire con cautela perché ogni passo falso farebbe aumentare il rischio di accentuare le tendenze recessive, questa volta con l’alta possibilità di combinarsi con la deflazione (prezzi in calo). Nel primo trimestre il tasso di crescita del Prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti a malapena raggiunse lo 0,80 per cento.
La ripresa del mercato del lavoro, nel frattempo, rimane troppo fragile anche presumendolo quale principale risultato delle politiche attuate dalla FED. Ricordiamo che lo scorso dicembre, quando la FED alzò di 25 punti base il tasso d’interesse di riferimento, il tasso ufficiale di disoccupazione era pari al 5 per cento, una cifra che secondo alcuni membri del FOMC prevedeva una situazione di “piena occupazione”. Tuttavia, ora sappiamo che la banca guidata da Janet Yellen si sbagliava. Gli ultimi dati non lasciano sospetti: i venti della nuova recessione sono molto minacciosi. Lo scorso maggio le assunzioni non agricole aggiunsero 38000 nuovi posti di lavoro, mentre gli investitori di Wall Street ne prevedevano 160000. Inoltre, i dati di marzo e aprile sono stati rivisti al ribasso, i datori di lavoro hanno assunto 59000 persone in meno di quanto originariamente riportato. Quindi, nessun membro del FOMC può celebrare un tasso di disoccupazione inferiore al 4,7 per cento, quando parallelamente il tasso di partecipazione al lavoro è sceso al 62,6 per cento: migliaia di persone non cercano più lavoro per mancanza di opportunità. Il tasso di disoccupazione ufficiale nasconde una massiccia sottoccupazione; contando le persone assunte in posti di lavoro part-time e quelle che hanno appena lasciato il mercato del lavoro, le cifre dovrebbero cambiare completamente. Con la metodologia di misurazione alternativa U-6, che considera questi due elementi, il tasso di disoccupazione si attesta al 9,7 per cento, ovvero oltre il doppio del tasso di disoccupazione ufficiale.
Si noti che la lentezza dell’economia degli Stati Uniti è dovuta principalmente all’estrema debolezza degli investimenti delle imprese, dovuto a un tasso di rendimento di capitale troppo basso, o insufficiente per avviare nuovi impianti di produzione, capaci di generare massiccia occupazione e d’innescare un ampia ripresa. Succede che gli imprenditori statunitensi sono riluttanti non solo ad investire, ma anche ad aumentare i salari, una situazione che ha impedito una sostanziale inflazione: l’indice dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato solo dell’1,1 per cento in termini annuali il mese scorso. L’immagine di un’economia capace di reggere sembra sempre più remota dopo l’US Conference Board, l’istituzione responsabile della supervisione della competitività mondiale, che annunciava che l’economia statunitense soffrirà, quest’anno, la prima contrazione di produttività in tre decenni.
In assenza d’innovazione, la produttività degli Stati Uniti precipiterà allo 0,2 per cento. “L’anno scorso pensavamo di entrare in crisi di produttività, ora vi siamo in pieno“, ha detto Bart van Ark, capo economista del prestigioso centro di ricerca. Tuttavia, i media tradizionali insistono nel promuovere l’idea che i segnali d’allarme della FED siano esterni al territorio statunitense. In un primo momento fu detto che il rallentamento economico della Cina sia uno dei principali pericoli mondiale; ultimamente avvertono su forti turbolenze finanziarie dal Regno Unito se decidesse di abbandonare l’Unione europea (cosiddetta ‘Brexit’). Pochissimi hanno il coraggio d’ indagare il grave pericolo rappresentato dagli Stati Uniti per l’economia globale: secondo le stime di Deutsche Bank, la principale banca d’investimento continentale europea, la probabilità che l’Unione nordamericana entri in recessione nei prossimi dodici mesi è già del 55 per cento. Tutto indica che accadrà presto e una realtà economica drammatica alla fine prevarrà sulla disinformazione.


Ariel Noyola Rodriguez, economista laureato presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM).

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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