Guerra del petrolio: Ecco, parte la donnola!

F. William Engdahl New Eastern Outlook 27/01/2015
Quando da bambino vivevo negli USA, c’era una canzoncina popolare per bambini chiamata Pop! Parte la donnola. Una strofa diceva:
Un penny per un rocchetto di filo,
Un penny per un ago,
Così gira il denaro,
Ecco! Parte la donnola.
La “donnola” è la rivoluzione del fracking degli USA, il boom del petrolio e gas di scisto negli USA, spacciato dall’amministrazione Obama come scusa per arrischiare radicali cambi di regime nell’OPEC e nel mondo islamico, Ecco! Come gira il denaro… Il crollo della rivoluzione del fracking negli USA procede accelerando, mentre i posti di lavoro perduti sono decine di migliaia negli Stati Uniti; le compagnie petrolifere dello scisto dichiarano fallimento e le banche di Wall Street congelano i nuovi crediti per l’industria. La donnola dello scisto negli USA è appena partita, e presto ci sarà un bagno di sangue simile alla battaglia di Falkirk del famoso Braveheart.
Conseguenze non volute
Una delle sfortunate conseguenze dell’avere paraocchi politici, come sicuramente le figure di spicco attorno al presidente Barack Obama oggi, sono le temerarie decisioni politiche che tendono a esplodergli in faccia con conseguenze impreviste. Così per il povero, patetico segretario di Stato John Kerry. Lo scorso settembre Kerry era andato in Arabia Saudita alla residenza estiva reale sul Mar Rosso, per incontrare il re del maggiore produttore di petrolio dell’OPEC, Abdullah e i suoi consiglieri, tra cui, secondo fonti informate il principe Bandar “Bush”, l’ex-ambasciatore a Washington ed ex-capo dei servizi segreti sauditi responsabili della disastrosa guerra contro Assad in Siria. Un accordo fu deciso secondo cui i sauditi avrebbero invaso il mercato, in particolare l’Asia, con greggio assai scontato forzando il crollo dei prezzi. Per Kerry e la banda dei miopi di Obama, era un modo intelligente di prendere due piccioni, Iran e Russia, con la fava del petrolio saudita a buon mercato. Lungi dall'”uccidere” la Russia di Putin, ha accelerato drammaticamente il consolidamento della cooperazione energetica russo-cinese con grandi accordi che volgono il mercato dell’energia russo da ovest e dall’UE ad est, a Cina, Coree e Giappone. Putin ha anche coraggiosamente annullato il progetto del South Stream dell’Unione europea e avviato negoziati con la Turchia per farne la nazione-chiave dell'”hub energetico” mondiale, escludendo l’Ucraina filo-statunitense dal ruolo di transito del traffico gasifero tra Russia e UE. Lungi dall’uccidere l’Iran, ha accelerato gli importanti accordi energetici tra Iran e Russia, tra cui nuove centrali nucleari. E nonostante tutte le peggiori intenzioni di CIA e servizi segreti israeliani, che hanno investito così tanto tempo ed energie nel creare gli psicopatici del SIIL, o come ora si chiamano SI, Bashar al-Assad, sostenuto da Russia e Iran, è ancora a Damasco. Per Washington e i suoi patetici neo-con, nulla sembra funzionare come voluto. Ciò che il trucco non-così-ben ponderato di Washington dello shock petrolifero ha prodotto, però, è stato scatenare una valanga di fallimenti e licenziamenti nell’industria del petrolio e del gas degli Stati Uniti, soprattutto negli idrocarburi da scisto.
La catastrofe degli scisti bituminosi degli Stati Uniti
Il crollo del settore dello scisto negli USA, che avevo previsto lo scorso anno si sarebbe manifestato nel primo trimestre del 2015, è già chiaro. È solo l’inizio di ciò che sarà una valanga di debiti inesigibili, chiusura di pozzi di petrolio, licenziamenti in massa nell’industria petrolifera e gasifera degli Stati Uniti, nei prossimi mesi. Secondo OilPrice.com, la spesa mondiale per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas potrebbe scendere di oltre il 30 per cento quest’anno. Sarebbe il maggiore calo dal 1986, l’ultima volta che Washington cercò di utilizzare i sauditi per far crollare i prezzi del petrolio. Bank of America prevede che i futures sul petrolio Brent scendano a 31 dollari entro la fine del primo trimestre di quest’anno, oltre 5 dollari meno dei minimi della crisi finanziaria del 2008. In questo momento, il mercato del petrolio è in una situazione critica dove, non a caso, grandi produttori come Russia e Iran e Iraq, prevedibilmente, aumentano la produzione per compensare il calo di prezzi ed entrate, aumentando notevolmente la sovrabbondanza esistente. Le conseguenze negli Stati Uniti stanno appena emergendo. Un enorme riduzione dei posti di lavoro colpisce l’industria, soprattutto negli Stati Uniti. Il 13 gennaio, la FED di Dallas prevedeva che nel solo Texas 140000 posti di lavoro potrebbero essere eliminati, non solo si tratta di uno Stato ma anche del più grande Stato petrolifero degli USA. Si tratta di posti di lavoro di un’economia che già soffre enormi perdite di posti di lavoro (nonostante le fraudolenti statistiche sul lavoro del governo statunitense), dato che la crisi finanziaria ha già colpito nel 2008. Schlumberger, la prima società di servizi petroliferi del mondo, eliminerà 9000 posti di lavoro, dopo che l’utile netto del quarto trimestre 2014 è sprofondato dell’81% a causa di svalutazioni da 1,6 miliardi di dollari delle attività produttive in Texas. Il secondo gigante dei servizi petroliferi, Halliburton, l’ex-azienda di Dick Cheney, la società che tecnicamente ha creato la bolla dello scisto, annuncia licenziamenti ma ne declina le dimensioni. Le aziende dei servizi di estrazione del petrolio come Halliburton, fornitori di prodotti chimici e attrezzature di perforazione per il fracking, imprese siderurgiche, aziende edili e strutture ricettive ne beneficiavano. Ora non più.
Il boom del petrolio di scisto negli Stati Uniti era una bolla di Wall Street, come già abbiamo notato, alimentato dalla Federal Reserve con tassi di interesse zero e banche di Wall Street alla disperata ricerca di prestiti dopo il crollo della bolla immobiliare nel 2008. Hanno fatto grassi profitti sottoscrivendo junk bonds per le compagnie petrolifere dello scisto, molte delle quali di piccole e medie dimensioni che ora scompariranno. Perforazione e fracking dello scisto è un business costoso, molto più della convenzionale perforazione petrolifera. Ecco perché si chiama “non convenzionale”. Fino a quando i tassi d’interesse negli Stati Uniti erano bassi, negli ultimi sei anni, e il prezzo del petrolio era oltre i 100 dollari al barile, le compagnie petrolifere potevano accollarsi il rischio e le banche prestare con liberalità. Ora avviene una brusca frenata mentre i proventi del petrolio crollano del 40-50%, negli ultimi sette mesi. Fintanto che i prezzi erano alti, le compagnie petrolifere dello scisto potevano avere prestiti come se non ci fosse un domani. E li hanno avuti. Secondo una nuova stima di Barclays Bank del Regno Unito, l’industria petrolifera canadese e statunitense dovrà ridurre di almeno 58 miliardi di dollari le spese, un taglio del 30% della spesa di 196 miliardi dollari del 2014. Tale stima è stata preparata su dati aziendali di dicembre, quando il prezzo era a 74 dollari al barile, prima che le riduzioni cominciassero a colpire e prima che i prezzi calassero a 47 dollari al barile. La cifra finale della spesa sarà di gran lunga inferiore di quella di fine anno, se i prezzi rimangono bassi. Più a lunghi i prezzi restano sotto i 50 dollari al barile più sarà feroce il bagno di sangue. Si stima che l’industria petrolifera statunitense sarà la più colpita del mondo. Bel lavoro John Kerry e Co. E nuovi prestiti bancari subiranno un addio. Oops… Durante il boom, fino a settembre 2014 quando iniziò la guerra dei prezzi saudita, le aziende di piccole e medie dimensioni di Stati Uniti e Canada spesero più del loro reddito, una media sbalorditiva del 157 per cento. Le imprese più grandi spesero circa il 112 per cento. Fecero la differenza l’emissione dei titoli spazzatura e i prestiti bancari a basso interesse. Ora, con prospettive poco rosee sul recupero dei prezzi, le banche finanziatrici chiudono i rubinetti. Le perdite presto colpiranno anche Wall Street. In altre parole, le conseguenze involontarie della stupida strategia di Kerry per mandare in bancarotta la Russia di Putin, con l’aiuto dei sauditi, gli è esplosa in faccia e potrebbe presto seppellire la sopravvalutata bolla del petrolio di scisto degli USA con il mare d’inchiostro rosso dei fallimenti. Stupido, in questo senso, è non capire i legami tra ogni cosa nel mondo reale. 

F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, laureato in politica alla Princeton University, è autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

0 comments :